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Descrizione

l centro storico di Sternatia è un nucleo abbastanza compatto e ben distinto nel contesto dell'intero abitato.

Ciò è dovuto al fatto che, fino a tempi relativamente recenti, ha conservato integra la sua cinta muraria, il cui antico circuito è facilmente individuabile percorrendo l'itinerario che dalla Porta "Filìa" attraverso via G. Matteotti, via E. Perrone, piazza Umberto I, via Brigida Ancora, conduce alla piazza Dante Alighieri, per poi ricongiungersi alla Porta "Filìa", attraverso via Roma. Lungo questo itinerario è presente nel sottosuolo una fitta rete di cunicoli e gallerie, che collega fra loro i numerosi frantoi oleari sotterranei (tappeti ipogei) utilizzati nella loro funzione fino alla metà del secolo scorso. Uno dei più importanti di questi è situato proprio nelle adiacenze della Porta "Filìa" ed esso costituisce attualmente uno dei pochissimi superstiti dei numerosi un tempo esistenti allo stato integro.

Nel 1480 Sternatia fu quasi completamente rasa al suolo dai turchi, per cui è pressoché impossibile distinguere, nell'ambito del centro abitato, costruzioni anteriori a quella data.
Di quello che c'era a Sternatia nel Medioevo è rimasto soltanto un tratto della cinta muraria e qualche avanzo di antiche costruzioni, come i resti dell'antico castello bizantino individuabile in alcune abitazioni, situate tra via Giudeca e piazza Castello, nelle quali sono presenti chiari elementi architettonici che ne attestano l'origine. Di epoca bizantina sono anche le cripte basiliane di San Pietro e di San Sebastiano e la cappella della Santissima Trinità, detta dello Spirito Santo, ma queste sono situate fuori dalle antiche mura. Tutto quello che sopravvisse alla furia devastatrice turca fu conglobato nelle nuove costruzioni cinquecentesche, che presentano quasi tutte i caratteri tipici dell'arte rinascimentale (per quel poco che potesse riflettersi nelle modeste case del paese), e nelle costruzioni seicentesche dai tipici tratti spagnoleggianti. La struttura delle abitazioni conservò tuttavia la sua tipicità greca nella disposizione a "corte", intorno alla quale si svolgeva la vita quotidiana di più famiglie, riunite nel piccolo microcosmo da essa rappresentato. Urbanisticamente però si nota la razionale impostazione rinascimentale, che, sull'esempio dell'urbanistica classica, dispone l'abitato sui due assi "cardo" e "decumanus", il primo rappresentato da via Platea (e parallelamente da via Pizzo) ed il secondo, perpendicolare ad esso, rappresentato da via Santo Stefano. Unica via che non presenta i caratteri ortogonali suddetti è via Forgia (detta popolarmente "sciakùddhi") la quale assume un andamento a zig-zag, che potrebbe essere l'unico elemento superstite dell'antica disposizione urbanistica.

Iniziamo il nostro percorso partendo da piazza Umberto I, la piazza principale, al centro della quale si può vedere, sopra un imponente basamento cubico, una colonna sormontata da una croce, alla cui base si notano quattro basilischi. Nel capitello sono rappresentati quattro angeli; in un cartiglio si può leggere "M. FLAMINI D'AMBROSIO A.M.D.G. ... FACIENDAM CURAVIT 1588". Molto probabilmente, vista la frase abbreviata (A.M.D.G.), si tratta di una colonna fatta erigere dai gesuiti proprio di fronte alla loro chiesa (l'attuale cappella dei Caduti). Questa sigla infatti significa "Ad Maiorem Dei Gloriam", il motto della Compagnia di Gesù.

Inoltrandoci nel centro storico percorrendo via Platea, che nel suo stesso nome (significa via Larga) dimostra di essere la via più importante del paese, troviamo, nell'angolo destro di accesso alla via, un'altra colonna incastonata nel muro dell' abitazione (al numero civico 2) sul cui capitello si legge l'iscrizione "VIRTUTIS CAEDIT INVIDIA" (L'invidia scompare di fronte alla virtù) con una data: 1575.

Facendo qualche passo avanti, sulla sinistra, troviamo (al numero 5) la casa dei Gesuiti con la raffigurazione, sull'architrave, del simbolo eucaristico, con al centro l'iscrizione IHS (Iesus Hominum Salvator). Tutto ciò fa presupporre che nel '500 erano molto attivi a Sternatia i Gesuiti, inviati da Roma (insieme ai francescani ed ai domenicani) in queste terre per sradicare il rito greco bizantino di antica tradizione. Quest'ordine religioso era molto attivo ed era riuscito ad inserirsi bene nel territorio, tanto da possedere anche vaste proprietà terriere, come la masseria "Gesuini", sulle serre a Nord del paese.

Proseguendo per via Platea incontriamo sulla destra l'imponente facciata della settecentesca Chiesa Matrice, intitolata a Maria SS. Assunta, sorta su una più antica, di rito greco, dedicata a San Giorgio. Accanto ad essa svetta il coevo campanile, che domina con la sua altezza tutto l'abitato. Più avanti, sulla destra (al numero 46) troviamo una casa "terragna" del '500, alla quale si accede attraversando un tipico sottoportico (presente in altre case coeve del paese).

Di fronte a questa abitazione (al n. 65), come anche più avanti, sempre sul lato destro (al n.56), troviamo due case "palaziate", sempre del '500, con due bellissime finestre centinate, finemente decorate. Al termine della via, di fronte, troviamo la già citata Porta "Filìa" (porta della Pace, dell'Amore, dell'Amicizia), che, oltre a costituire l'ultimo avanzo dell' antica cinta muraria, rappresenta il luogo "dell'anima" del paese.

Svoltiamo a sinistra e ci inoltriamo per via Pizzo, parallela a via platea, come se fosse un secondo "cardo", minore rispetto alla centralissima Platea, utilizzato, si dice, dagli ebrei presenti in paese per raggiungere il quartiere in cui abitavano, via Giudèca, di cui parleremo dopo. All'inizio della via, con il portone incastonato nell'ultimo avanzo delle mura, troviamo l'accesso ad un grande e ben conservato "trappeto" ipogeo, la cui costruzione si può far risalire almeno all'Alto Medioevo.

Proseguendo, più avanti a destra (al n. 63), troviamo un'interessante casa palaziata con, al piano superiore, una finestra decorata, a cui purtroppo è stata distrutta la centina. Più avanti a sinistra un mignano di rara bellezza. Questo lungo balcone consentiva alle donne, che non godevano un tempo di eccessiva libertà, di partecipare alla vita che si svolgeva all'esterno, senza uscire da casa. In questa via i mignani sono presenti anche in altre abitazioni poste più avanti.

Proseguendo, incrociamo, sulla sinistra, via Forgia, chiamata popolarmente Sciakùddhi, dal nome di un folletto dispettoso, della tradizione popolare, che, si pensava, abitasse in una di queste case. Questa via assume un andamento anomalo rispetto alla regolarità delle altre vie del paese, per cui potrebbe essere, insieme ad altre vie minori o corti, un ultimo avanzo dell'assetto urbanistico precedente alla distruzione turca del 1480. Alla fine di via Pizzo, sulla sinistra, ad angolo con la prospiciente piazza Umberto I, troviamo la cappella di San Giovanni Battista, nella quale, purtroppo non permane nessuna traccia degli affreschi che un tempo la decoravano, ma presenta ancora all'esterno, sul portale, una traccia di un'antica epigrafe e, particolare molto interessante, sull'angolo smussato si può ammirare un bassorilievo raffigurante un basilisco, lo stemma di Sternatia.

Non ci inoltriamo nella piazza, ma proseguiamo la nostra visita del centro storico svoltando a destra ed inoltrandoci in via Giudèca. Questa, come dimostra chiaramente il nome, era la via abitata dagli ebrei ed, oltre al mignano presente al n. 15, ci riserva una sorpresa in fondo a destra, nel punto in cui la via confluisce in piazza Castello. Qui, appunto al termine della via, al n. 28 troviamo i resti di quello che un tempo era l'antico castello bizantino, con un portone formato da un interessante arco catalano-durazzesco di cui si conservano pochissimi esemplari in provincia di Lecce. In alto l'edificio è decorato da un bugnato a punta di diamante che conferisce a tutto il complesso un aura di rara bellezza.

La piazza che a questo punto abbiamo di fronte, piazza Castello, ci riserva una scenografia spettacolare con l'imponente prospetto del settecentesco palazzo marchesale "Granafei", che, con il colore dorato della pietra leccese, con cui è costruito, brilla nei pomeriggi d'estate al sole del tramonto. In questa piazza un tempo venivano immagazzinate, in appositi silos scavati nella roccia sottostante (chiamati "fossìa" in greco locale) le derrate alimentari, soprattutto il grano. Questi, poi, venivano chiusi e sigillati con delle lastre di pietra su cui veniva inciso il nome del proprietario; tutto ciò era necessario per preservare i viveri e difenderli dalle numerose razzie che un tempo erano numerose. All'atto della sistemazione della piazza tutti questi granai sono riemersi ed alcuni di essi sono stati svuotati per poter essere più facilmente osservati.

Proseguendo, in fondo alla piazza, ci inoltriamo in via Santo Stefano, che costituisce l'asse "decumano" dell'impianto urbanistico del paese e prende il suo nome dal titolo di un'antica chiesetta di rito bizantino che in essa si trovava, la chiesa, appunto, di Santo Stefano, ormai distrutta. Con questa via incrociamo, a sinistra, corte Benedetto Cuomo (ufficiale borbonico) ed, a destra, via Marino Paglia, arcivescovo di Salerno, originario di Sternatia. Qui, all'angolo con via Santo Stefano, troviamo una bellissima abitazione a corte (al n. 9), con un ampio sottoportico che sull'arco interno presenta un fregio formato da foglie di acanto.

In fondo alla via Santo Stefano, a sinistra svoltiamo per una visita alla via Apano, che in lingua greca locale significa "via posta al di sopra". Questa era la via in cui si concentravano numerose abitazioni di sacerdoti di rito bizantino, molte delle quali palaziate, ma per la maggior parte ormai distrutte. Interessante un'abitazione settecentesca, sulla destra, a metà della strada, restaurata di recente, in cui sono state conservate "filologicamente" tutte le unità architettoniche e nella quale sono state poste, in ossequio di un'antica tradizione sternatese, due epigrafi in greco antico ed una in greco salentino dettate da G. L. Filieri.

Ritornando indietro, verso via Santo Stefano, svoltiamo a sinistra raggiungendo il termine della via e ci inoltriamo a destra in via Candelora. Questa via prende il nome dall'antica chiesa di Santa Maria della Candelora, anch'essa di rito bizantino, che, come molte altre dello stesso rito, vennero abbandonate e distrutte, con l'avvento del rito latino. In questa via troviamo un interessante mignano al n. 25 e, quasi di fronte i resti del basamento di un'antica colonna, forse appartenente all'antica chiesa ormai distrutta. Una traversa a destra di questa via, via isola Candelora, ci riserva un'ultima sorpresa, oltre ad una casa con mignano, sul cui portale, in un cuore è incisa la data del 1684, scopriamo, in una corte una bellissima casa del '500, con portale, finestra e portale inferiore centinati ed un'epigrafe latina che recita "VIRTUTE DUCE COMITE FORTUNA", recante la data del 1583.




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